Ciao a tutti!
Rieccomi, per una nuova avventura!
Premetto che di quella newyorkese, come avete notato, ho sospeso la narrazione a metà. Ci sono ancora tante cose però che vorrei raccontare, quindi, quando avrò il tempo (mmm, ok: la voglia!) ci tornerò sopra, in qualche modo, o con un link esterno, o inframmezzando questa nuova storia…: da mercoledì scorso, 15 settembre, mi trovo a Vancouver, nello stato della British Columbia, uno dei 13 stati federali che compongono il Canada.
Si trova sull’Oceano Pacifico, appena sopra il confine con gli Stati Uniti, a 9 ore di fuso dall’Italia.
E’ stata, lo scorso inverno, sede delle ultime Olimpiadi invernali, evento che ha lanciato la città tra le mete da visitare a livello mondiale, l’ha un po’ ringalluzzita, abbellita, migliorata, probabilmente resa anche più cara.
Il turismo, in ogni caso, ne ha sicuramente risentito in maniera positiva.
Quando ho deciso di licenziarmi per tentare un’avventura all’estero, lo scorso inverno, tra le varie possibilità c’era la richiesta di un cosiddetto visto “vacanza-lavoro”, un accordo tra i governi canadese e italiano riservato a tutti i cittadini non canadesi sotto ai 35 anni, per una durata totale di sei mesi.*
Come forse ricordate, il primo giorno in cui sono arrivato a New York, ho avuto la notizia via email che avevo ottenuto questo visto.
Da allora, quindi, “il Canada” è diventato il piano B.
E così, dato che negli Stati Uniti non ho avuto fortuna dal punto di vista lavorativo, causa bad timing (là, come si sa, è in atto una forte crisi economica), eccomi qui.
In pratica, a differenza che in America, ora qui ho un visto che mi permette di contrarre regolare lavoro: il mio piano è di iniziare con un lavoretto qualsiasi, per poi arrivare, se dovessi trovarlo, all’ultimate job.
Il motivo principale per cui ho scelto Vancouver al posto di Toronto o Montreal (dove però si parla francese, che non so, a parte, ovvio, Je suis Catherine Deneuve), o altre città canadesi, è che qui si girano molti telefilm e film, soprattutto americani (costa di meno, e il paesaggio è del tutto simile agli Stati Uniti): Vancouver è anche detta Hollywood North.
Data la mia annosa passione per la tv americana, ho pensato che avrei potuto trovare lavoro in questo settore.
Se ci riuscirò sarà da vedere, e credo anche uno degli argomenti principali di questo blog versione canadese.
Non ho agganci né contatti particolari, solo speranza, entusiasmo e buona volontà.
I primi giorni in cui ero qui, la settimana scorsa, li ho passati in un albergo in centro, pressoché a dormire (dopo 3 mesi a New York, due settimane a Vicenza, e un’odissea di viaggio di oltre 24 ore vestito come un albanese – vedi foto -, che non starò qui a raccontare, ho avuto un bad case di jet leg – o len jen come direbbe la zia Nenei – pardòn: Bernadette).
Ho anche naturalmente visitato un po’ la città, ma ahimé avevo dimenticato in albergo la macchinetta fotografica.
Qui sotto però ecco ciò che vedevo dalla mia stanza: detta anche la città di vetro, i grattacieli trasparenti sono una delle caratteristiche di Vancouver (le montagne dietro è dove si va a sciare, anche d’estate: dicono che puoi scendere in costume, e arrivato a valle ti butti in mare…).
La presenza di Wendy’s davanti all’albergo, in cui però sono stato bravo a non entrare, e di mille Starbucks ad ogni angolo (in cui invece sono entrato, altrimenti cadevo per terra dal sonno), hanno rafforzato la mia convinzione che il Canada sia un’America 2.0, con la differenza che qui si usano i kilometri e non le miglia.
* La persona che mi ha suggerito di fare domanda per il bando del visto semestrale di lavoro, il mio amico Francesco, di Vicenza come me, sarà qui da mercoledì prossimo, dopo domani, e insieme cercheremo casa e ci imbarcheremo in questa avventura nuova (se nel frattempo sarò sopravvissuto ai suoi attacchi, che mi aspetto dopo che avrà scoperto quale temporanea sistemazione ho rimediato per entrambi, vedi post successivo).
Lo attende un cielo da Twilight The Saga: speriamo non resti tale per i prossimi sei mesi!
Blog Comments
gujo
Settembre 21, 2010 at 12:12 pm
Tante tante fogliette d'acero. Alé il Dalsa alé!