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  • Novembre 7, 2011

Stoke Newington, il quartiere di Londra dove abito e lavoro, vanta un elevatissimo tasso di natalità: in pratica non puoi camminare per strada senza incontrare donne incinte o eserciti di passeggini.
Questa caratteristica si riflette nella clientela del Fat Cat Cafe, che si rivolge principalmente alle famiglie.

Quando arriva il tavolo del pregnant ladies club, che basta ne entrino 3 e ti tolgono metà dello spazio vitale, è tutto un trionfo di camomille, the verdi, deca questo, soia quello…
Non è come in Italia dove caffè vuol dire caffè e cappuccino vuol dire cappuccino e non esistono singoli o doppi. La rottura di balle si limita a, chessò, cappuccino deca senza schiuma, latte macchiato tiepido o marocchino. Lo stesso dicasi per i the: che the avete? è una domanda che non si sentirebbe mai in un bar italiano.
Qui invece caffè può voler dire qualsiasi cosa (vedi lavagna post precedente), che se lo sa Riccardo Illy mi crepa all’istante.
Se te ne ordinano uno generico devi stringere i denti, chiedere di specificare e prepararti al peggio, le variabili sono infinite: hai un ventaglio di possibilità che bastano due tavoli di pregnant ladies club e puoi star sicuro che ti si paralizza l’esercizio.

Due passeggini sono sufficienti a bloccare il traffico dell’intera sala: per farli uscire devi chiamare i vigili, e via di retromarcia, fai alzare quello all’altro tavolo che non c’entra, sdoppiati e contemporaneamente vai ad aprire la porta, etc.
Bonus se sono gemelli (capita spesso) o se hanno quei passeggini a due piani da cui a un certo punto ti spunta un altro marmocchio che non avevi calcolato.

A volte le mamme si mettono ad allattare sotto il mio naso: se le becco vado sotto choc, mi servono ore per riprendermi e devo chiamare qualcuno che mi sostituisca a fare i cappuccini (tanto non mi vengono…), che ero andato in tilt lo stesso a causa dei due tavoli di cui sopra!

Le mamme che entrano al cafe sono tronfie alla guida dei loro passeggini, che vedi che li credono dei SUV: sanno tutto loro, han ragione loro, fanno figli solo loro che io vorrei dirgli ma non hai visto il tavolo di fianco? etc.
Ovviamente ogni figlio è dotato di intelligenza e doti sopraffine, per non parlare di esigenze alimentari particolari e ogni sottogenere di intolleranza e allergia mai sentìa.
Ci sono le rare occasioni in cui i bambini sono degli angeli, e io non esito a premiarli con qualche pocio o la cupcake farcita di biscotto OREO come da foto, e non manco di far sapere ai genitori che il loro bambino è un tesoro in confronti a certi mostri che entrano (naturalmente con con queste testuali parole).
Altre volte vedo ogni tipo di tirannia possibile da parte delle mamme e capisco che in UK non fanno SOS Tata o, se c’è, certe mamme non lo guardano. Mi verrebbe da intervenire e dire: i bambini non sanno cos’è l’ironia, ma non conosci Tata Lucia??!! ma mi mordo la lingua, mando giù, e torno ai cappuccini.
E intanto xo sighi di sottofondo, altro che il mio Ipod con Tiziano Ferro!

Quando entrano i bambini ti devi armare di pazienza e metterti in tenuta da sommossa: in due secondi devi aprire la porta al passeggino/carrarmato di turno, far capire che hai notato che sono entrati, salutarli e accarezzarli, chiedere ai genitori se vogliono una high chair*, cioè un seggiolone, capire di che sesso sono per usare il pronome corretto**, portare l’acqua coi bicchieri e le cannucce prontamente accorciate per i boce***, offrire gli album da colorare, non prima di aver, con nervi saldissimi, discriminato con scanner oculare tipo Robocop l’età (vado con gli orsetti lavatori da 0 a 3 anni o cappuccetto rosso dai 3 in su?? Boh. Vedi *) e i colori a cera che quando li porti al tavolo hai due possibilità: o ti fai una pera di infanzia/asilo inalando a pieni polmoni, o ti rassegni a seguirne le rotte caotiche per il locale, che quando la famiglia avrà lasciato il campo di battaglia devastato, li dovrai recuperare nei posti più irraggiungibili (tana dei sorxi, incastrati nel battiscopa, la pianta nell’angolo etc.), oltre ovviamente a pezzi di pane e cibo sparpagliati ovunque…
Finché un’altra famiglia avrà già occupato il tavolo e tu dovrai scansare le teste bionde tutte uguali per pulirlo dall’aranciata che cola e dal miele che appiccica prima che gli altri bambini lo sporchino e via di questo passo (naturalmente dopo averli visti con la coda dell’occhio prima che entrino e aver aperto la porta al SUV di turno).

* La high chair è un problema: non so mai quando offrirla, perché non riconosco l’età dei bambini. Capita che chieda: volete la high chair? e i genitori mi accusino immeditamanete con lo sguardo di omicidio preterintenzionale perché è a loro chiaro che il bambino scivolerebbe dalla sedia. A me no.
E che per fortuna si dice How old is he/she? (se ne hai capito il sesso, ovvio), e non come in italiano: Quanti anni/mesi ha? (Ciao, Lucia Civarelli!!), se no mi sentirei rispondere come ieri: 18 giorni…!

** Non conto più i casi di What’s HER name?…Uhm, David… e What’s HIS name? – Uhm… Laura… etc.

*** Altra azione da Robocop è appunto decifrare il sesso dei bambini per determinare il colore delle cannucce. Puoi anche fregartene, e non ricadere nel tranello maschio=azzurro, femmina=rosa che ti inculcano fin da prima della nascita, ma a volte è più forte di me.
L’altro giorno vado al tavolo con un cannuccione rosa Barbie e dico What’s HER name?? Era per me chiaro che fosse una bambina: aveva i capelli fino al culo che manco Cher quando era sposata con Sonny Bono. Risposta: Richard.
Bene. Respiro, sorrido e dico: Oh, ma allora ho sbagliato cannuccia! La mamma tutta contenta mi dice: Ma no, va benissimo, gli piace il rosa.
Carlo, respira: vorrei accarezzare Richard e dirgli: Benvenuto nel club, andrà tutto bene, ma mi mordo ancora una volta la lingua e farfuglio: Ahahah.

E torno ai cappuccini scansando i pezzi di toast seminati sul pavimento.

Blog Comments

"Benvenuto nel club" è spaziale 😀

giuro sto morendo dalle risate!!!! giuro muoiooooooo!!!!

<3

[…] – una sorta di bagno nel Tamigi per tutti gli italiani a Londra – e poi il barista al Fat Cat Café, e dove ho vissuto un anno, un angolo di quartiere dove non arriva la metropolitana e che, […]