Domenica 26 agosto ha chiuso allo Stedelijk Museum la mostra Coded Nature dello Studio Drift, un duo di designer di Amsterdam che reinterpreta con occhio ingegneristico alcuni principi della natura. È stata la più proficua da quando il museo ha riaperto sei anni fa, dopo una lunga ristrutturazione.
In concomitanza con la mostra lo Studio ha proposto, un weekend di mezza estate, uno spettacolo nel cielo sopra alla zona di NDSM. Al suo debutto in Europa, si chiama Franchise Freedom e prevede l’impiego di 300 droni che seguono un algoritmo creato appositamente per riprodurre il volo degli uccelli durante le migrazioni, con il sottofondo live del pianista locale Joep Beving.
Lo spettacolo è andato in scena nei giorni a cavallo di San Lorenzo ma credo incidentalmente: non mi pare che vedere le stelle cadenti sia una tradizione in Olanda come da noi.
È una ricorrenza a cui personalmente sono affezionato: negli anni delle immense compagnie, teste contro teste, guardavi il cielo con occhi sgranati ad aspettare cadere le stelle per esprimere un desiderio che puntualmente non si sarebbe avverato, condividendo una ─ o più, ─ bottiglie di vino insieme agli amici che, col tempo, portavano morose e morosi con cui si baciavano. Per me, solo, il posto sopra la coperta si riduceva di anno in anno.
Il desidero che esprimevo era proprio che l’anno seguente potessi anch’io avere qualcuno a fianco e non un amico troppo brillo che di lì a poco mi avrebbe vomitato sulle scarpe. Così ogni anno.
E quindi sabato 11 agosto, insieme a centinaia di altri Amsterdamesi, con un gruppo di amici ─ molti italiani, ─ abbiamo inforcato le bici, ci siamo dati appuntamento in stazione, siamo saliti sui battelli diretti a nord e ci siamo messi in silenzio a guardare all’insù.
L’atmosfera di comunanza con altri sconosciuti, mezza città riunita col bicchiere in mano, era tale per cui un ricordo latente si è risvegliato in me, che ormai sono grande e da tempo non poggio più la nuca sulla lana ad aspettare.
Nonostante Pascoli abbia dedicato al X agosto una nota poesia, però, è al sabato del villaggio leopardiano che la mia mente è andata quella sera. Stare tutti insieme col naso per aria ad aspettare qualcosa di magico mi ha fatto sentire orgoglioso di essere italiano, come se tutte le notti sulla coperta che abbiamo trascorso nella nostra giovinezza a guardare le Perseidi cadere nell’eccitazione di non si sa bene che cosa ─ il silenzio, il mistero, l’attesa, ─ ce le avessimo nel DNA.
Pensavo a questo scongiurando che a caderci addosso non fossero i droni, mentre mi sentivo parte del gruppo, quella sera per un motivo in più. Pensavo che fosse valsa la pena stare molti anni in attesa. Pensavo che, allora, i desideri si avverano eccome.
“A cosa pensi?”, mi ha chiesto lui cingendomi le spalle con un braccio, testa contro testa.
Non gli ho risposto e l’ho baciato.