All’Italian Cultural Centre, dove faccio il cameriere, hanno fatto il presepio (o pe? Mai capito quando vince uno quando l’altro). Bello, un modo per sentirmi un po’ meno solo e un po’ più a casa, in questi tempi in cui sono lontano dai miei affetti.
Qui il presepio (o pe) non lo fa nessuno, e sì che di muschio, nei monti intorno, ce ne dev’essere tanto… Si chiama nativity scene, e io penso: troppo facile, non c’è solo la grotta (o la capanna, a seconda di quello che hai in casa: noi avevamo la capanna, fatta dal papà nella notte dei tempi con una cassetta di legno, ma a volte c’era la variazione di stropicciare la carta marmorea presa dalla Signora, la cartolaia vicino alle sbarre), c’è tutto il resto!
Vuoi mettere l’inventiva di creare il ruscello (carta stagnola o bacinella con acqua?), mettere i centurioni romani in prospettiva, accompagnare le galline alle arne, cominciare ad appostare i Re Magi dal 20 di dicembre giù in fondo, vicino alla televisione, che prima che cominci a spostarli, a partire circa dal 1 gennaio, per farli avvicinare a Gesù (che compare miracolosamente a qualche ora del 24 sera, che siamo sempre stati pissainpressa), si son già fatti due maroni quadri… ?!
Al Centre si tengono banchetti quasi tutte le sere: gli eventi di solito sono per i Trevisani nel mondo, come già detto, gli Abruzzesi della British Columbia, i Calabresi del Western Canadà, Basilicata is on my mind Society, e via di questo passo. I partecipanti agli eventi sembrano tutti usciti da Lilli e il Vagabondo. Ci sono i vari Vito, Anthony, Joe, Frank, replicati all’infinito: baffi, cavej pochi, alti xe n’altra roba, magri xe ‘n’altra roba, ociai all’occorrenza.
La prima sera ho visto una tipica italo-americana, che aveva quella capigliatura da guidette, come Snooki di Jersey shore, reality di Mtv boicottato dagli italo-americani perché pieno di stereotipi negativi sugli Italiani d’America (detti appunto guidos): un poof in testa, come un rinforzo, quasi un toupet gonfio.
Le trevisane sono tutte alte e con gli occhiali, e hanno quella pettinatura chiara che le donne venete hanno indistintamente dai quaranta in su: un po’ bigodino messo a caso, un po’ schiacciata dal cuscino sulla punta della testa, e paiono tutte una zia o una nonna che tutti abbiamo, sicché ti sembra sempre di averle già viste. Tutte.
Gli italiani d’America che vedo al Centro sono congelati negli anni ’60, e da lì non si sono mossi. Non sono né carne né pesce, né americani (o canadesi), né più italiani. Giocano a bocce e cantano canzoni che noi non conosciamo (o sono le equivalenti de La pastora, giù al sud, e allora sono io che non le conosco). Spesso, all’inizio delle cene, si dicono “le” preghiere (grace!) e tutti, anche noi camerieri, si alzano in piedi o si fermano immobili se in giro per il salone, tipo Statuine belle o brutte. Così come quando suonano l’inno d’Italia, che io scandisco giocando con la bocca come un bambino del coro dello Zecchino d’Oro, per far capire che lo so, sentendomi Cannavaro.
C’è sempre un qualsiasi stereotipo vivente di italo-americano, che par Super Mario, a cantare con la fisarmonica o cose così. Il tasto canzoni è, ahimé, doloroso: la scaletta è sempre quella, sera dopo sera. Innanzitutto l’Italiano di Toto Cutugno, che all’estero è vissuto come un secondo inno. Poi ci sono immancabilmente (me le sono segnate): Ti amo di Umberto Tozzi (“Vorrei dedicare al mio ragazzo che sta lavorando al Silos al banco del pesce…”), Gloria puzzi di cicoria, sempre di Tozzi, Mamma Maria dei Ricchi e Poveri (!!!), il tema de Il Padrino (!!!!!) (ripeto: !!!!!!!), Mambo Italiano, le non italianissime Guantanamera e Besame Mucho e, dulcis in fundo, chettelodicoaffa’, ‘O sole mio.
La cucina è una tipica rivisitazione nordamericana della tradizione culinaria italiana: direi che alcune cose sono buone ma altre decisamente no, e si pecca in tranelli facili (tipo l’acqua per la pasta non salata!!) che ormai, con tutto il boom della food industry degli ultimi anni, dovrebbero essere ampiamente superati. Ma par che la chef sia ben qualificata, quindi taccio. Le volte che mi sono profuso in complimenti perché aveva effettivamente prodotto degli ottimi piatti, mi ha risposto: “Ma perché, credi che di solito cucini male?”. Aveva ragione.
Si butta via un sacco di cibo, e nessuno dello staff in cucina è italiano.
Blog Comments
lucy
Dicembre 21, 2010 at 7:21 pm
basilicata is on my mind ..vedi basilicata coast to coast..io te fili in tavernetta al roma..!ma alla fine dell inno gridi 'sii'?ps:da alcuni anni nel mio presepio(pe..bo!)circolano 4 re magi! ne andiamo super fieri e sfidiamo gli ospiti a..trova l 'intruso!