Oggi vorrei parlare di alcuni aspetti dell’American way of life, e della sua versione newyorkese, che quelli di voi che sono stati in America già conoscono, e compararli magari con l’esperienza italiana che, essendo la nostra, ci pare migliore.
Come sapete, l’acqua, qui, quella che ti danno nei ristoranti appena ti siedi al tavolo, accompagnata da kili (pardon: libbre) di ghiaccio, sa da varechina (e qui, una città che poggia sull’acqua, se la fanno arrivare da Chicago….), lo stesso naturalmente dicasi per il ghiaccio, quando si scioglie: freschìn su freschìn.
I muri sono di cartone, le serrature si aprono spingendo verso l’interno, gli interruttori, quelli di Sandrino e Zigo Zago, sono levette lunghe chilometri (pardon: miglia) che possono accecarti se non stai attento, attaccare un quadro è un optional (le pareti sono quasi sempre monocolori e spoglie) e parlare dell’aria condizionata è come sparare sulla croce rossa.
Basti ciò: il giorno dopo la prima notte che ho dormito da Michael, nel pomeriggio mi ha chiamato DURANTE il suo turno di lavoro, tutto spaventato per chiedermi se qualcosa non andava: la notte prima si era accorto che non avevo acceso l’aria condizionata!
Al che un amico italiano che era con me in quel momento mi ha detto: “Vedrai che ti farà restare per tutto il mese: lo fai risparmiare”. (E infatti così è stato).
Invece di belle terrazze, in una metropoli verticale, ci sono scale antincendio mai utilizzate (per foruna, direte voi); io dico come balconi, che però se fai due metri (pardon: piedi) più in là vedi dentro la finestra del vicino, quindi tutti stanno dentro, rintanati nel loro microscopico alveare, con finestre minuscole, l’aria condizionata a bomba, ma senza tapparelle, persiane, veneziane, scuri o che sia, e ovviamente senza tende (ricordate?: New York è una finestra senza tende).
L’America è enorme, immensa, infinita, rischi di farti stirare da SUV formato Optimus Prime un minuto (pardon: … no, il sistema orario è lo stesso in tutto il mondo…) sì e l’altro pure, le Sprite small size che pisci per i seguenti due giorni (non oso pensare la large, voglio dire), eppure le case a Manhattan sono minuscole, dei veri buchi per noi italiani, che siamo abituati che in un monolocale ci puoi dare il ballo de Il Gattopardo.
I bagni non hanno la ventole né come sappiamo il bidet (credo che, nonostante la parola sia francese, ce l’abbiamo solo in Italia, anche se in Virginia, nella casa dove siamo stati ospiti Serena ed io nel ’98, Ingrid si era fatta costruire i bagni coi bidet dopo aver vissuto tanti anni a Vicenza, probabilmente unica casa in tutta America!).
Le docce hanno la vasca da bagno, ma nessuno se lo fa, e allora, dico io, tanto vale fare la vasca: fammi il murettino basso per la doccia e risparmi in spazio, già che nei bagni di New York, se solo ingrassi di un chilo (pardon: una libbra), ti ci incastri per il resto dei tuoi giorni.
Dell’acqua a fior di chiappe del water già abbiamo parlato, ma lì il lato positivo è che almeno non lasci sgommate e puoi pulirlo un po’ meno di quanto lo puliamo noi.
Nel paese dei contrasti e dei paradossi, delle mille calorie a pasto, ci sono due categorie di persone: i salutisti, che seguono diete ferree e corrono a Central Park anche con 100 gradi fahrenheit e altrettanti di umidità percepita, che se faccio io un metro svengo e mi devono ricoverare al Beth Israel, e le persone grasse. Che non sono le persone grasse che ci sono in Italia: we’re talking omini Michelin, here, che fanno tremare la terra ad ogni passo, e sono milioni. Non sono mai grassi proporzionati, si badi: o hanno la testa cicciona, ma il resto piccolo, o la testa a uovo e le gambe enormi, and so on…
La povertà che c’è per strada non è quella che c’è in Italia, dove l’assistenza sanitaria gratuita ha garantito, negli anni, che anche i poveri siano non dico belli, ma se non altro coi denti sani. Qui i poveri, parlo dei non abbienti, i mendicanti, i senzatetto, non solo sono sporchi, ma sono spesso strabici, senza denti, storpi e parlano e gridano da soli.
Chissà se la riforma Obama cambierà le cose.
Tante cose che noi pensiamo siano state ‘inventate’ dagli Americani, o che siano un’americanata, ho constatato, non lo sono: le porte scorrevoli, le sliding doors, per esempio: a New York praticamente non ci sono. In tutti i negozi, grandi magazzini, alberghi etc., ci sono le porte a maniglia o quelle a girello, che se non calibri rincorsa/tempo di immissione rischi l’ospedale (ancora: riforma necessaria).
O i posti assegnati nei multisala: non ci sono. Vige ancora il first come first served, chi prima arriva meglio allogia, come da noi nei cinema parrocchiali alla Doncamilloepeppone, quando potevi vederti 10 spettacoli di fila.
O il clic clac delle forette (che peraltro credo sia un brevetto Zucchi): non c’è. Non si chiudono i cuscini: li metti dentro un sacco che non ha tasca di chiusura, e quindi può uscire da un momento all’altro. Che poi comunque non sono i nostri cuscini belli rigidi e alti, che te ne basta uno per leggere Guerra e pace per i prossimi vent’anni: i loro sono piccoli e molli (ma ancora, ecco tornare i contrasti americani, su letti che ci possiamo stare in venti senza toccarci) e per forza te ne servono almeno dieci per leggere il New York Times(quindi siamo in venti più cento cuscini…).
Nei sandwich, di cui ormai sono il massimo esperto, il salame, il pastrami, o comunque il ripieno in generale, ha un’altezza di 5 centimetri (ok: pollici) almeno. Chiaro che serve la riforma sanitaria: ti si blocca la mandibola ogni volta che entri in un deli qualsiasi.
Al supermercato pare di stare negli anni ’50 quando c’erano i rifugi antiatomici: esclami ogni volta “Mi devo essere perso lo scoppio di una – ennesima – guerra”: ci sono decine e decine di varianti per ogni prodotto. Mille sapori, mille colori. Ogni singola cosa. File e file di cibi (va da sé, tutti confezionati) per chilometri e chilmetri (ok: miglia e miglia) di corsie.
Tutti vanno in giro, dalla mattina presto a sera tardi, con bibitoni con cannuccia, stracolmi di ghiaccio, che pare abbiano paura di morire disidratati. Paiono tanti biberon: è tutto frutto, naturalmente, del consumismo e di beni inutili impsosti. Se solo l’America si rendesse conto di quanto spende in porcherie (e di conseguenza, di quanto inquina), avrebbe risolto metà dei suoi mali.
I cumuli (multipli di libbre, che non so come si dica…: megalibbre?) di spazzatura che si concentrano sui marciapiedi in serata, in attesa che arrivi di notte il camion della monnezza, sempre con 100 gradi fahrenheit e altrettanti di umidità percepita, fa in modo che questa città abbia un solo unico odore, cioè, scusate i giri di parole, di merda. Aggiungeteci piscio e cacca di cane e avrete un’idea.
E, finendo sempre col parlare di, you know, merda, i cessi pubblici hanno le porte da saloon del far west, che partono a un metro (uhm, due piedi?) da terra e finiscono 5 centimetri (pollici) sopra, così se stai, you know, cagando, si vedono subito i piedi girati dall’altra parte.
Naturalmente io mi vergognerei come un ladro e piuttosto me la farei sotto, ma in questo grande paese c’è invece chi si attarda anche in lunghe conversazioni telefoniche seduto e a braghe calate.
Ah, che paese, l’America!
Blog Comments
gujo
Luglio 20, 2010 at 8:52 am
Fantastica!
Saeudame i coniugi andrioli