THE POTWASHER PART 1

  • Luglio 27, 2011


(A Giovanna)

Sarai sola contro tutti
perché io non ci sarò
QUANDO PIANGI E LAVI I PIATTI
e la vita dice no

No, non ho un ritardo di sei giorni che non so se dirlo a lui (lu chi, po’??!!).
Sarebbe davvero una seconda Immaculate COLLECTION.
Ma sorvoliamo…

Ce la cantiamo ogni volta che laviamo i piatti, in generale, con la Vanna (non che capiti spesso che indugiamo insieme in questa attività, a dir la verità, o che nella vita io abbia spesso lavato piatti, ma insomma avete capito), e da quasi quattro settimane mi va a loop in testa, da quando (come se non lo sapeste già) ho cominciato a lavare i piatti in un bar per mantenermi qui a Londra.

Ero qui da neanche due settimane e i soldi cominciavano a scarseggiare.
Esattamente come a Vancouver, avevo stampato un bel po’ di CV e li portavo in giro, tra bar e negozi. Inutile tentare il colpo grosso di un lavoro ben qualificato e ben pagato da subito, avevo bisogno immediato di cash: mi ero appena trasferito nella casa dove sto ora (indovinate?!: Esatto: more on this later on!!) e dovevo pagare l’affitto.
Ho pensato bene di cercare lavoro qui vicino.

Ero però quasi rassegnato, la ricerca non stava dando buoni frutti, ero pronto ad andare ad Hyde Park rimandando tutto, come mio solito, al giorno dopo (e come a Vancouver, se non ci fosse stata Suor Germana a spronarmi), per leggermi Entertainment Weekly (sì!! Dio c’è: lo vendono anche qui!)* quando sono timidamente entrato in un coffee shop che esponeva cartello POT WASHER WANTED IMMEDIATELY.
Che dico, che è?
Sapevo che pot è la marijuana, in gergo (forse più americano), ma capivo che era improbabile che cercassero un ‘lavatore’ di maria così alla luce del sole.

Il posto mi è sembrato all’istante amichevole e carino. La tipa che mi ha accolto (tutto questo, impressioni e accoglienza, svoltosi in circa 3 secondi), che poi ho scoperto chiamarsi Olive, quando con la frase studiata da giorni e faccia interrogativa le ho detto: “Ho visto che state cercando, uhm… personale: posso lasciarvi il mio CV?” mi ha guardato storto e mi ha detto: “È un lavoro talmente basico che non ci serve il tuo CV, ci serve uno già da domani, hai da fare?”.
Volevo dirle: “Sì, vorrei andare fuori da Wimbledon come i poareti sensa schei a respirare l’aria della finale e sentire ogni tanto le urla da dentro il central court”, ma ovviamente le ho detto no, certo, a che ora comincio?
E così ho buttato via tutto il malloppo di CV stampati e ho cominciato.
A lavare piatti, ho poi scoperto (pot è la pignata generica).

Quando poi Olive ha aggiunto: “La paga è minimum wage”, ho annuito (avevo davvero bisogno immediato di lavorare), e la faccia mi è andata immediatamente in modalità allocco perché è successo l’irreparabile: due canzoni in testa, una sopra l’altra, campionate come un consumato dj.
L’altra, chiaro, è “Who said” dei Planet Funk (I am a slave for the minimal wage), anche se sono stato negli USA…

But I’m stuck in the UK.

* Poco importa che per comprarlo devo caricare la tessera dei trasporti, la Oyster, andare a Victoria Station dall’altra parte della città impiegandoci un’ora, con un rapporto costi-ricavi degno della Grecia. Non potrei mai essere un ingegnere gestionale. (Basti vedere come gestisco la mia vita!)
Incredibile che in una delle metropoli più grandi al mondo vendano una rivista americana solo lì – e sì che ho girato per cercarla! -, esattamente come a Vancouver dove lo vendevano in un posto solo, qui con uno scarto di 5 giorni rispetto all’uscita negli Stati Uniti.

(1. Continua).

Blog Comments

ricomincia l'avventura del Signor Bonaventura! Attendiamo ansiosi le prossime puntate

e comunque pena finito lavare piatti, senza piangere o avere ritardi ma cantandola sempre!che cult!ora ho letto la parola grecia..e via di rapput fin domani!