“Stiamo sperimentando quella che in gergo potremmo chiamare Pride week fatigue”, mi dice lui quando ci svegliamo, esausti, lunedì mattina.
Abbiamo passato il weekend in strada, saltando da un evento a un altro, a bere — tanto, va detto — a ballare, a divertirci. Il nostro fine settimana del Pride di Amsterdam si è concluso davanti al palco centrale di Piazza Dam dove, per 4 canzoni, si è esibita Mel C, Sporty Spice, tirando fuori il girl power sopito in noida due decenni.
Molte cose sono cambiate in un anno, dal mio primo Pride ad Amsterdam. La principale è che ora dormo con lui. Non solo ci sto bene e ne sono innamorato, ma anche capisco, durante questo fine settimana, di aver trovato proprio uno come me: a cui piace divertirsi, giocare, scherzare. Che, quando serve, non si prende sul serio e torna bambino. Sabato mattina, infatti, le missioni sono due: completare il nostro matching outfit da marinaretti per assistere alla canal parade (alla cui idea, ma non glielo dico, ho acconsentito solo perché mi pare di essere Evelyn e la magia di un sogno d’amore, vestita, nel 1985, come una piccola Susanna Agnelli in erba per le strade di Tokyo) e sostituire la sua pistola spara bolle che si è inceppata proprio pochi minuti prima di uscire di casa. E quando siamo in coda da Action su Kinkerstraat, equivalente formato negozio della borsa di Mary Poppins, dato che ci vendono letteralmente il mondo in pochi metri quadrati, è lì che lo vedo, l’accessorio immancabile per completare la mia mise: un nastro da ginnastica ritmica che non c’entra nulla col resto, ma proprio per questo perfetto. Mentre proviamo cappelli da cowboy arcobaleno con luci colorate e scegliamo il glitter più adatto con cui adornarci la barba decido d’impulso di fare la pazzia: costa € 1,95 e non posso di certo lasciarlo lì.
“Facevamo invidia a molti”, mi dice lui, il giorno dopo.
Non me ne ero accorto.
Non mi sono fatto problemi a baciarlo in pubblico, a dimostrargli il mio amore. Perché il Pride di Amsterdam, che da molto non si chiama più Gay pride, è la festa inclusiva di ogni minoranza, credo, orientamento, amore, colore, e celebra tutti e tutte le diversità.
È una festa di famiglie, riversate in strada per festeggiare tutti i colori dell’arcobaleno.
Non sono mai stato un militante e sono arrivato indenne ai 40 anni senza troppi traumi legati al mio orientamento sessuale, ma mi trovo a discutere con un 22 enne che non sentiva l’esigenza di partecipare ad un evento come questo, perché, dice, non so se mi voglio sposare e non vedo tutta questa necessità di esibizionismo.
Neanch’io so se mi voglio sposare ma sono incredulo di fronte alle mie stesse parole quando mi sento dire che se non fosse stato per le persone che sono perite in battaglia, soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale, vittime del nazismo, etichettate con un triangolo rosa che è stato l’ispirazione per quell’Homomonument sopra cui ora sto atterrando sventolando un nastro — rosa anch’esso — e dove stiamo, tutti brilli, ballando, lui non sarebbe qui. Che c’è gente che ancora adesso, nel 2018, in parti meno fortunate del mondo, viene lapidata solo per quello che prova dentro al cuore.
Penso a tutto questo, mentre giriamo per il Pride io tutto compito a dare il nastro addosso ai malcapitati e lui puntando la pistola in faccia a tutti, che credono spari acqua e aprono la bocca per dissetarsi ma restano sorpresi e si sciolgono in un sorriso quando invece scoprono che si tratta di bolle di sapone dal riflesso arcobaleno.
Penso che Amsterdam mi ha regalato, oltre alla gioia di un amore, anche un momento in cui poter essere davvero me stesso, fedele al mio vero io, mentre con dei falsi orecchini addosso e una borsetta che fa pendant prestatami da un’amica, sventolo fiero il nastro rattoppato da uno scotch –rainbow, ovviamente — finché il colletto alla Evelyn mi svolazza in viso.
Penso a quanto Amsterdam non sia mai stata così bella e colorata mentre osservo un cane felice che mangia le bolle di sapone che escono dalla pistola di lui, il mio matching sailor.
Penso che domani torneremo a girare in bici per le strade di questa città piena di gente gezellig, inclusiva, festosa, baciati da un sole che, mi dicono, non si vedeva da tempo.
Sarà sempre bellissima, ma forse meno allegra, meno ricca di colori, perché priva di tutti questi arcobaleni.
Allora al prossimo anno, Pride, con tutta la tua fatigue connessa.