A volte (spesso) mi par di vivere in un libro illustrato per bambini, specialmente in uno di quelli che leggevo da piccolo, con mio fratello Francesco.
Mi capitò quando andai a vivere a Milano. Là vidi la rappresentazione reale di una serie di immagini che avevo scolpite in testa ma che, appunto, erano proiezioni mentali di un disegno su carta: le stazioni della metropolitana, gli orologi pubblici (mai funzionanti, ahimè), le aiuole orlate dai reticoli di semi-anelli per terra, i parchi pubblici, etc.
Una città grande, una metropoli, che Vicenza non era.
E’ successo a New York, quando un luogo che per anni esisteva solo nella mia testa si è concretizzato per settimane davanti ai miei occhi, liberandosi dai confini degli schermi televisivi o di quelli di un cinema.
E’ successo ancora qui in Canada, alla visione, già descritta, di scoiattoli e puzzole che ti tagliano la strada, ed è successo ancora ieri quando, finalmente, mi sono deciso ad andare a visitare Stanley Park.
L’America è grande, e la flora e la fauna che vi si trovano, note anche in Europa da decenni di colonizzazione iconografica, sono davvero insolite e spettacolari.
Come si vede dalla prima immagine aerea (presa, come si può immaginare, da Internet), il parco (in rosso nella cartina), dedicato a tale Lord Stanley, Governatore Generale del Canada all’epoca in cui fu inaugurato nel 1888, è enorme: esteso circa come Downtown, il centro di Vancouver, è più grande del 10% del Central Park di New York.
Circondato da tre lati dalle acque dell’Oceano Pacifico, gode di vedute mozzafiato.
Ieri, domenica, mentre Francesco (il mio compagno di avventure, non mio fratello!) stava lavorando, ci ho fatto una passeggiata solamente di un paio d’ore, attorno allo specchio d’acqua interno, che sembra un lago, ma che invece è mare.
Non ho idea di quanto ci si metta a percorrerlo tutto, in lungo e in largo, credo un giorno intero. La Lonely Planet mi dice che d’estate è tutto un pic-nic, un divertimento, un fresbee, un carretto dei gelati, un windsurf, una spiaggia (anzi, più di una). C’è anche un grande acquario.
Avremo modo, immagino, nei prossimi mesi, di esplorarlo per bene, anche se la stagione non è calda (circostanza che, però, non può che far diventare i colori autunnali delle foglie ancora più vivaci).
Intanto ho avuto di nuovo quella sensazione di déjà vu: le canne di bambù che spuntavano dall’acqua (e che, però, già avevo visto alla Boja di Maddalene!) erano come quelle dei libri che la mamma aveva in Biblioteca (dove lavorava, prima di insegnare)!
I cigni li ho visti naturalmente ancora, per primi al Parco Querini (però che paura, quando ti – gridano? Che verso farà, a parole? – dietro), così come la anatre.
E, anche se non c’entravano, per fortuna, con il libro di educazione ecologica degli anni ’70 (!) sul disboscamento e l’inquinamento della natura da parte delle cattive azioni degli uomini, ho riconosciuto gli occhi, qui ridenti, cerchiati di tre buffi procioni che parevano finti, da quanto in posa si sono messi apposta per il mio obiettivo.
P.S.: Sì, ok: riconosciuti anche per Clean, il procione (però bianco, mi dice Internet…) amico di Candy Candy…