2 PICCIONI CON UNA FAVA / 002

  • Luglio 5, 2010
















La tappa usuale dopo la visita alla Statua, ripendendo il ferry, è Ellis Island. Così abbiamo fatto noi.

Luogo simbolo della costruzione stessa del popolo degli Stati Uniti, questo isolotto a pochi metri al largo della costa del New Jersey ha accolto, dal 1892 al 1954, più di 12 milioni di aspiranti cittadini americani (vedi Wikipedia).

Strappata al suo stato di abbandono da pochi anni, l’isola ospita ora un museo, la cui visita si rivela un’esperienza catartica: con dovizia di particolari si può capire come doveva essere, per milioni di speranzosi stranieri che nulla avevano da perdere in patria (di cui, naturalmente, tantissimi italiani), l’arrivo in una terra che li accoglieva con una statuona gigante di una femena col cocòn e una roba in una mano e un libro nell’altra (parliamo di gente spesso analfabeta) e palazzi che grattavano il cielo.
Persone che non sapevano l’inglese, a cui venivao storpiati i cognomi, che avevano, letteralmente, valigie di cartone (altro che il mio set da 3 rosso) e che, soprattutto, nulla sapveano di dove sarebbero andati e di quale futuro li aspettasse nella grande, nuova, America.

Ad Ellis Island si può avere un buon esempio di tutto questo, con spiegazioni, filmati, documenti, illustrazioni. Si può cercare il nome di antenati che ne hanno varcato la soglia (forse noi abbiamo trovato un lontano Peretti) e, naturalmente, mangiare come mas’ci nell’immancabile punto ristoro, che rappresenta come una sorta di contrappasso: “inciccioniamoci ancora di più, sia mai che patiamo la fame come questi poveri immigrati che ci hanno dato i Natali” (e, non da meno, anche noi, data l’ora, ci siamo abbuffati, anche perché le patatine zigrinate, che non vedevo dai tempi di Pat Bon Pat Bon negli anni ’80, erano parecchio invitanti).

Tornati a Manhattan, con mia somma gioia, il parentame ha avuto la brillante idea di andare a Brooklyn per poi attraversare a ritroso (direzione Brooklyn –> Manhattan) il celeberrimo ponte della gomma da masticare (che, come si sa, è un’invenzione tutta italiana, creata dalla Perfetti).

Io ero uno dei caldeggiatori dell’iniziativa perché, pur essendo già stato a Brooklyn (che non è, come erroneamente si pensa, un quartiere di New York City, ma uno dei suoi 5 buroughs, cioé distretti: si estende per una superficie tre volte superiore a quella dell’isola di Manhattan e conta 3 milioni di abitanti; a sua volta è quindi suddiviso in innumerevoli quartieri. In uno di questi, da ieri, vivo ora io, e lo farò per due settimane: anche questa circostanza verrà spiegata in uno dei prossimi post) dovevo ancora fare il ponte di Brooklyn a piedi al tramonto, come mi aveva suggerito da tempo una delle guide (e la Stefania di Librarsi).

Chi mi conosce, ed è stato in vacanza cone me, sa infatti che sono abbastanza ligio quando si tratta di seguire alla lettera guide, guidette, e meridiani vari (in genere, non meno di 5, anche per weekend fuori porta di 1 giorno e mezzo), pena un muso lungo 20 giorni.
Bisogna perciò che si capisca anche qui la mia frustazione ogni volta che il parentame (detto anche: Perettume, una massa omogenea di zio, zie, cugina, cugini, morosa di cugino) si avvicinacva perentoreamente al ponte prima che scattasse un’ora pressoché prossima al tramonto (e, per fortuna, andando verso est, a Manhattan ci sono i grattacieli che fanno sì che l’ora del tramonto sia accelerata) col sole, invece, ahimé, ancora allo Zenith.

Alla fine, sostato in 500 negozi di scarpe tutti uguali perché la Nenei doveva comprarsi un paio di Nike, abbiamo visto un millesimo di Brooklyn e siamo andati sulla Brooklyn Promenade, una strada pedonale da cui si vede la punta di Manhattan (sì, so cosa state pensando, e ho la stessa sensazione: soeo qua se vede. Ormai vista da tuti i cantoni…) su cui ero già stato con Gaia.

Quando finalmente abbiamo attraversato il ponte direi che, chiudendo un occhio o tutti e due, poteva anche essere il tramonto, a giudiare dalla luce. Anche lì, solita foto dei due cosi, i due pali che tengono il ponte (piloni: grazie, Internet!), come vista con la mamma in una mostra di foto di New York al Mart di Rovereto nell’autunno scorso. La foto era del 1911! (Il ponte è stato inaugurato nel 1883!!!).

Anche da lì sopra, immanancabile, la visione del mio migliore amico Empire State Building (mica può scappare, direte giustamente voi!).

Ora che sono qui per due settimane, avrò tutto il tempo per farmelo in lungo e in largo: a piedi, di corsa, in bici, in taxi… (Si accettano scommesse data la mia nota pigrizia).

Da buon turisti italiani, una volta di là, siamo caduti nel trappolone LITTLE ITALY, a mangiare italiano da Gennaro coi mandolini di sottofondo (notasi il contorno della mia cotoletta alla parmigiana, per altro ottima: spaghetti al pomodoro!).