Una vita intera a capire cosa ca**o fosse ‘sta fava, che nessuno di noi, dico nessuno, aveva mai visto in Piazza dei Signori, un coeombo magnare un faxòeo.
Anyway: il titolo si riferisce alla giornata di martedì scorso, quando, sotto l’amministrazione settimanale del parentame Peretti, mi sono incollato a loro (che hanno comperato un intelligente pacchetto completo delle migliori attrazioni di New York, con sconto totale, che io ammortizzerò – in termini di tempistica – nelle prossime settimane) per una gita che, finalmente, mi ha portato prima sull’isola della libertà, a vedere la Statua (e di lì a Ellis Island) e poi, UDITE UDITE, walking across the Brooklyn Bridge.
Alla Statua della Libertà e ad Ellisa Island, piccolissime isolette situate nella baia di New York tra la punta dell’isola di Manhattan e la costa del New Jersey, si arriva da downtown Manhattan con un ferry boat dopo un po’ di fila sotto il sole cocente (SAM! SAAM! SAAAM!) e perquisizioni da aeroporto.
La Statua è stata chiusa fino alla fine del 2009: per questo le richieste per salire fino alla corona fanno il tutto esaurito fino a 3 mesi prima (prima data disponibile per il giorno in cui siamo andati: 15 settembre). Noi, come la maggior parte della gente, siamo saliti fino in cima al piedistallo, dove abbiamo fatto le consuete foto dello skyline di Manhattan, con l’Empire State Building, meraviglioso, che spunta in ogni dove come un faro nella nebbia.
Alla base della Statua c’è un museo ben fatto, che, attraverso l’esposizione della vecchia fiaccola attiva fino al 1984, fac-simili che ne illustrano le proporzioni, manifesti pubblicitari d’epoca, etc., racconta la storia del dono della Francia agli Stati Uniti nel centenario della loro indipendenza, intorno al 1876 (l’anniversario non fu rispettato del tutto) (ieri, a proposito, 4 luglio, raccontato in un prossimo post). Per mesi la statua fu costruita in un quartiere di Parigi (si veda foto coi tipici palazzi della Ville Lumière intorno) per poi essere trasportata pezzo per pezzo sull’isola di Bedloe’s Island, da allora Liberty Island, (per la presenza, appunto, di Lady Liberty, la Statua della Libertà che illumina il mondo).
Progettata e costruita da Frédéric Auguste Bartholdi, la sua realizzazione ha visto, com’è noto, anche lo zampino dell’ingegnere Gustave Eiffel dell’omonima torre (per chi vuole, si veda Wikipedia o il primo capitolo de “I segreti di New York” di Corrado Augias).
Mi collega personalmente alla statua il fatto che uno dei modelli a cui si è ispirato nel mondo Bartholdi per la sua realizzaione è la statua di San Carlo Borromeo sul Lago Maggiore!
Sull’isoletta, ho fatto mille foto uguali a quelle che fanno tutti i turisti che vengono qui e che io stesso avevo scattato nel ’98 (profilo dei grattacieli, Ponte di Verrazzano, bandiera sventolante tipo inizio e fine di Salvate il soldato Ryan), compresa una di me con mano sul petto che, 12 anni e numerosi capelli persi dopo, mi vede nella stessa posizione, credo (senza, ovviamente, Torri Gemelle dietro).
Difficile, per me da qui, recuperare la foto di allora, quando i rullini erano l’unico modo per catturare immagini (io lo facevo con una storica macchinetta comprata apposta per quel viaggio all’Ottica Centrale, poi persa miseramente nel vicinato di casa dei miei prima di andare ad un matrimonio, nell’autunno di 5 anni dopo. Inutili le ricerche con cartelli appesi ai pali della luce tipo: E’ STATA SMARRITA UNA MACCHINETTA . . . LAUTA RICOMPENSA E BLA BLA BLA).
Serena, se sei così gentile da scansionarmi la foto che hai, facciamo il confronto e vediamo quanto la mia memoria sia ancora buona.
P.S.: Non mi ero mai posto il problema, pensavo che le due cose ai lati della faccia fossero o riccioli alla ebrea, o cavej, o un velo, ma ho scoperto che… Lady Liberty ga el cocòn!!!
P.P.S.: Mi son dimenticato di precisare, nel post precedente, riguardante il matrimonio, che la cerimonia è durata poco (pur essendo con rito cattolico, niente predica – si, vabbé: omelìa – né comunione) e che non ci sono state né scena “Chi ha qualcosa da dire lo faccia ora o taccia per sempre” – tipo Il Laureato con Dustin che grida “Elaaaaaaaaaaaaaaine!!!”) né un “Può baciare la sposa”: la femeneta spettatrice di soap che è in me è stata in entrambi i casi delusa.
Blog Comments
gujo
Luglio 6, 2010 at 8:34 am
Diamo a Cesare quel che è di Cesare e a Ciccio quel che è di Ciccio: solo lui può averti insegnato a scrivere in quel modo "un coeombo magnare un faxòeo".
Grande el cocon della Statua!